Negli ultimi anni, l’attenzione verso il linguaggio inclusivo è cresciuta notevolmente, in particolare in relazione alle persone con disabilità. Un tema che ha suscitato un ampio dibattito è quello della terminologia da utilizzare: è più appropriato dire ‘persona con autismo’ o ‘persona autistica’? Questo articolo esplorerà le differenze tra queste due espressioni e il loro significato nel contesto di una comunicazione rispettosa e inclusiva.
Persona con autismo o persona autistica? Un approfondimento sul linguaggio inclusivo
Il significato di autismo nella cultura Maori. In Maori, la lingua polinesiana parlata in Nuova Zelanda, il termine ‘autismo’ è tradotto come ‘takiwatanga’, che significa ‘nel suo tempo e nel suo spazio’. Questa traduzione mette in evidenza la singolarità e la variabilità dell’esperienza delle persone autistiche. L’autismo è un disturbo complesso e variegato, il che rende difficile arrivare a una definizione univoca. Nonostante i progressi nella ricerca neuroscientifica, la comprensione della natura di questo disturbo e la ricerca di trattamenti efficaci sono ancora in fase di sviluppo.
Linguaggio inclusivo: ‘persona con autismo’ vs ‘persona autistica’
Il Prof. Davide Viola, psicologo e autore del libro ‘Nel Suo Tempo e nel Suo Spazio’, ha approfondito il tema del linguaggio inclusivo nel contesto dell’autismo. Nella sua opera, si pone la questione se sia più corretto utilizzare ‘persona con autismo’ o ‘persona autistica’. Queste espressioni rappresentano due approcci distinti: il ‘person-first language’ e l”identity-first language’.
Person-first language
Il termine ‘persona con autismo’ è un esempio di ‘person-first language’, che pone l’accento sulla persona prima della sua disabilità. Questo approccio mira a enfatizzare l’umanità dell’individuo, evitando di ridurre la persona alla sua condizione di disabilità. È una forma di linguaggio che cerca di rispettare la dignità delle persone, mettendo al centro la loro essenza.
Identity-first language
Al contrario, ‘persona autistica’ rappresenta l”identity-first language’, che considera l’autismo come parte integrante dell’identità della persona. Questa visione riconosce l’autismo come una categoria identitaria, un elemento che contribuisce a formare l’identità culturale e sociale dell’individuo. In questo contesto, l’autismo non è visto come un difetto da correggere, ma come un aspetto che arricchisce l’individuo.
Le preferenze della comunità autistica
Un’importante indagine condotta da Fabrizio Acanfora, neurodivergent advocate e docente universitario, ha rivelato che la maggior parte delle persone autistiche, il 79,8%, preferisce essere definita come ‘autistica’, adottando quindi l’identity-first language. Solo il 4,7% degli intervistati ha espresso una preferenza per l’espressione ‘persona con autismo’. Queste statistiche evidenziano un chiaro orientamento da parte della comunità autistica verso un linguaggio che riconosca l’autismo come parte della loro identità.
Conclusioni: un linguaggio che rispetta
Alla luce di queste considerazioni, è fondamentale che chi si occupa di comunicazione e inclusione prenda in considerazione le preferenze della comunità autistica. L’adozione del termine ‘persona autistica’ o ‘bambino autistico’ non solo riflette un rispetto per l’identità delle persone autistiche, ma contribuisce anche a una maggiore consapevolezza e accettazione della diversità. L’autismo non è qualcosa da eliminare o correggere, ma una parte della ricchezza dell’esperienza umana.